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Dico il falso se affermo che mai avrei pensato di scrivere su Napoli e sui napoletani. Devo invece essermelo ripromesso, inconsciamente, il giorno in cui da ragazzo ho per caso assistito ad una scena alquanto singolare. Ero fuori dagli uffici postali in piazza Miraglia nel momento in cui due balordi derubarono una vecchina della sua misera pensione, scaraventandola a terra. Dei passanti si avvicinarono per soccorrerla. Pensai: "Facciamo qualcosa, chiamiamo la polizia, inseguiamoli". Intanto loro seguirono a occuparsi solo della minuta donna. Un omone grande e grosso, quando la vide in discrete condizioni, senza esitare, disse a voce alta: "Signori, dobbiamo dare qualcosa alla signora". Prese il portafoglio e tirò fuori una banconota da diecimila lire. Altrettanto fecero molti altri. Senza nemmeno contarli, il possente uomo li arrotolò, e con garbo li diede alla nonnina. Quando lei fu in grado di andarsene, si allontanarono tutti, come se niente fosse successo, tranne me. Rimasi solo coi miei pensieri e col niente assoluto intorno. Le cose erano tornate al loro corso in un nulla, e io mi resi conto che niente era rimasto. Apprezzai la rapidità del nulla, e la profondità di quel niente. Compresi allora che ai napoletani manca, da secoli, la voglia di sorprendersi, e sopravvivono oggi ai tanti nulla e ai tanti niente da cui sono attorniati, con una capacità che non ha eguali, e senza lamentarsene. La selezione di scene inserite è presentata come una sorta di planata "neorealistica" in cui tanti individui vivono esistenze a volte difficili, altre volte di successo. Il disagio non è mai mostrato come una giustificazione, anzi alcuni di questi personaggi, in una sorta di reminiscenza eduardiana, sono descritti nella loro dignità - magari non sempre condivisibile da tutti -, con la saggezza di chi è riuscito a trasformare le avversità in una filosofia di vita.